Conferenza di Doha: emerge un deludente prolungamento al 2020 degli accordi

Si è conclusa a Doha la 18esima conferenza mondiale sui cambiamenti climatici (UNFCCC – United Nations Framework on Climate Change). L’incontro tra le parti della Convenzione quadro Onu sui Cambiamenti climatici per affrontare nuovamente i negoziati internazionali si è svolto a circa vent’anni dal primo summit di Rio de Janeiro del 1992, che diede vita proprio all’UCC, ed è stato organizzato con l’obiettivo di raggiungere una “fase 2” del protocollo di Kyoto con un accordo globale per il 2020.

La convenzione sull’estensione del protocollo di Kyoto è arrivata con un giorno di ritardo rispetto alla data prevista per la conclusione del meeting in Qatar , convenzione definita da più parti come un “accordo al ribasso”. I circa 200 Paesi presenti che hanno fornito il proprio consenso ad estendere il trattato per frenare i cambiamenti climatici hanno evitato un nuovo stop alle Nazioni Unite sulle operazioni di riduzione delle crescenti emissioni di gas serra. Se da un lato il prolungamento dell’accordo per altri 8 anni salva l’unico patto esistente tra i governi per la lotta contro il surriscaldamento globale, dall’altro questo viene indebolito dal ritiro di Russia, Giappone e Canada, che si aggiungono agli USA, che non hanno mai firmato il protocollo, rendendo i Paesi firmatari responsabili dell’appena 15 % delle emissioni di gas inquinanti e invalidando fortemente gli effetti di quello che dovrebbe rappresentare un compromesso universale volto ad invertire la tendenza degli effetti sul clima, sempre più devastanti per la Terra.

Le emissioni di anidride carbonica, infatti, nel 2011 hanno raggiunto il valore di ben 34 miliardi di tonnellate, compromettendo sempre più il già precario equilibrio del clima mondiale ed incrementando le possibilità che si verifichino nuovi disastri quali uragani e alluvioni, oltre a prolungare i periodi di siccità in alcune aree del pianeta. E’ necessario intervenire anzitutto attraverso una più consapevole distribuzione dei finanziamenti, con lo spostamento di parte di quelli previsti per i combustibili fossili verso lo sviluppo sostenibile, la green economy, le rinnovabili e la mobilità sostenibile, oltre che adoperando le nuove tecnologie che consentono di tagliare i consumi energetici.

Il processo di riequilibrio nella distribuzione di risorse economiche tra green economy ed economia ad alto impatto ambientale, però, continua a procedere molto lentamente, soprattutto in relazione alla rapidità con cui avanza il dissesto dell’atmosfera, condizione che pone un maggiore avvicinamento verso il punto di “non ritorno” ambientale, ossia quella soglia, in termini di emissioni, inquinamento, utilizzo delle risorse, che una volta oltrepassata genererebbe conseguenze irrimediabili dal punto di vista atmosferico, con aumento della temperatura media di oltre 2 gradi.

Per evitare il superamento di tale soglia, ricorda l’Unep, andrebbero tagliate le emissioni di gas serra del 25 % entro il 2020, ma con gli accordi attuali la percentuale prevista ammonta ad appena il 10% dell’obiettivo, un valore irrisorio rispetto all’impegno necessario. Alcuni esempi virtuosi di paesi che mostrano maggiore sensibilità verso determinate tematiche, però, provengono dal Brasile, che ha ridotto la deforestazione del 75% rispetto al 2004, o dalla Svezia, che ha aumentato il Pil riducendo le emissioni serra tra l’1 e il 5% l’anno. L’auspicio è che modelli di questo tipo comincino a rappresentare l’ordinarietà e non più l’eccezione di un sistema che mostra un andamento sempre più preoccupante.