Alaska - veduta

Alaska: Stop di Shell alle trivellazioni petrolifere per il 2013

Alaska

Shell ha annunciato oggi di abbandonare per il 2013 i propri piani di estrazione del petrolio al largo delle coste dell’Alaska, nell’Artico. È la prima cosa giusta che fa Shell in Alaska.

La reputazione di Shell come miglior azienda del settore è stata messa a dura prova da una serie di disavventure e disastri mancati. Segno che anche chi si crede il migliore ha difficoltà nelle trivellazioni nell’Artico.

Meno di due mesi fa il naufragio della piattaforma petrolifera Kulluk della Shell vicino all’isola di Kodiak in Alaska, un paradiso di biodiversità, ha dimostrato chiaramente che queste operazioni sono troppo rischiose. Gli effetti di una “marea nera” nell’Artico sono purtroppo noti: basti ricordare le conseguenze del disastro della Exxon Valdez, che nel 1989 si schiantò nel Prince William Sound provocando la moria di  migliaia di uccelli, foche, otarie, orche e pesci di cui molte popolazioni non si sono mai riprese.

Adesso Obama deve fermare per sempre ogni trivellazione in Artico, non solo per salvare un ecosistema così fragile  e prezioso e le comunità che da esso dipendono, ma per mandare un segnale deciso alle altre nazioni: è tempo di fermare la nostra dipendenza dai combustibili fossili.

Non è solo l’Artico ad essere minacciato dalle trivelle ma anche il nostro Mediterraneo, dove Shell ha progetti di trivellazioni dal Canale di Sicilia al Mar Ionio. Sono in via di autorizzazione proprio in questi mesi due progetti di ricerca della Shell nel Golfo di Taranto, nonostante la forte opposizione delle comunità locali. In Italia è in atto una vera e propria corsa al petrolio: la settimana scorsa è arrivata l’autorizzazione della piattaforma Ombrina Mare al largo delle coste abruzzesi, mentre l’Eni ha ottenuto l’esclusione dalla VIA per i suoi progetti nel Golfo di Taranto.

Chi salirà adesso al Governo avrà anche la responsabilità di dover scegliere come intende gestire le risorse del nostro mare: tutelarle a beneficio dell’economia locale (pesca e turismo), o svenderle ai petrolieri ipotecando il futuro di chi vive sulle coste

(Fonte: Greenpeace)