Camorra: trovati i rifiuti tossici indicati dal boss

Schiavone Sky tg 24
Schiavone Sky tg 24

Fanghiglia sospetta, a nove metri di profondità, a cinque dalla falda acquifera, e poi frammenti di fusti, sbriciolati, di media grandezza: li trovano i Vigili del fuoco, dopo sette ore di lavoro, a scavare con due ruspe, in un terreno a poche decine di metri da una ludoteca per bambini e vicino al mercato ortofrutticolo di Casal di Principe, area tristemente nota come terra di camorra. E lì, in quei fanghi e in quei frammenti di fusti, c’è la conferma delle rivelazioni di un collaboratore di giustizia che ha indicato agli inquirenti della Direzione distrettuale Antimafia di Napoli la presenza di veleni interrati dalla camorra a Casal di Principe.

Solo le analisi forniranno certezze sulla natura di quel materiale sicuramente non radioattivo ma, verosimilmente, assimilabile a scarti di un sistema di depurazione industriale. Secondo quanto riferito dal pentito ai pm, quel terreno avrebbe ingoiato veleni pari al contenuto di venti camion. Non ha saputo dire, invece, da dove siano giunti, ma era lui a guidare la pala meccanica che ha preparato quella terra. In passato il pentito ha lavorato per la fazione Schiavone della cosca di Casal di Principe: fu arrestato per estorsioni messe a segno insieme ai figli del boss Francesco Schiavone, detto Sandokan. L’uomo ha rivelato agli investigatori di aver svolto per conto del clan l’attività di scavo alla guida di una ruspa e che i rifiuti sarebbero stati interrati all’inizio degli anni Novanta. Le ricerche e lo scavo di oggi sono stati disposti dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dai pm della DDA partenopea Giovanni Conzo, Luigi Landolfi e Cesare Sirignano. Sul posto, stamani, si sono recati i carabinieri del nucleo operativo di Casal di Principe, i vigili del fuoco, con il nucleo NBCR, e i tecnici dell’Arpac. Di recente, Carmine Schiavone, cugino di Sandokan, in alcune interviste aveva parlato dei veleni interrati dalla criminalità organizzata in quella fetta di territorio campano che si estende tra la provincia di Caserta e Napoli, la cosiddetta “terra dei fuochi”. Scarti industriali provenienti da Nord e non solo. Dichiarazioni sconcertanti di un dramma che nei giorni scorsi ha visto scendere in campo anche il Presidente della Camera, Laura Boldrini, ad unire la propria voce a quella di chi chiede che venga rimosso il segreto imposto su queste dichiarazioni. E stamani, in via Sondrio a Casal di Principe, sul luogo degli scavi, c’era anche don Patriciello, parroco di Caivano (Napoli), uno dei comuni della Terra dei Fuochi.

“Quest’area – ha detto il ‘prete simbolo’ della lotta della gente che vuole tutelare la propria salute – è l’emblema di questa terra, in cui l’immondizia gettata da persone anche perbene, si unisce ai rifiuti sotterrati dalla camorra”. Quella di don Patriciello, con le 45.000 cartoline inviate a partire da ieri al Papa e a Napolitano, con le foto delle mamme campane e dei figli morti di cancro, non è una voce isolata. Al suo fianco c’è il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, che proprio oggi ha affidato il suo grido d’allarme a una lettera ai “suoi” sacerdoti. “Tanto scempio – ha scritto – è stato causato dalla prepotenza affarista di alcuni, ma anche dal silenzio di tanti” e “il silenzio non è solo il segno di un comprensibile atteggiamento di paura. E’ molto di più. Il silenzio è spesso l’espressione di un vivere nell’indifferenza, nel disinteresse per tutto ciò che non ci appartiene direttamente, per tutto ciò che è pubblico, per tutto ciò che è il bene comune”. Un allarme che trova eco anche nella comunità scientifica. Nel luglio del 2012, l’istituto per i tumori di Napoli ha pubblicato un rapporto sui casi di morte verificatisi dal 1998 a causa delle neoplasie con un dato sconcertante: le neoplasie – secondo tale stima – sono aumentate fino al 47%.