Brocca di acqua

Acqua inquinata: quei contaminanti emergenti non previsti dalle norme Ue

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La vita ha avuto origine nell’acqua e non può esistere senza di essa. Sulla base di questo principio, la salvaguardia delle risorse idriche dal degrado antropico è diventata una priorità delle politiche ambientali, come ne è esempio l’ambizioso obiettivo che si è posta l’UE: raggiungere entro il 2015 il buono stato ecologico e chimico di tutte le risorse idriche presenti sul suo territorio.

Per vincere questa difficile sfida, la Water Framework Direttive definisce il concetto di Environmental Quality Standard (EQS) identificando una concentrazione massima di inquinante da non superare per proteggere la salute umana, la struttura e la funzionalità  degli ecosistemi acquatici. Tale approccio necessita di informazioni. Informazioni non sempre disponibili: quantità scaricate difficili da reperire, sostanze sversate non sempre oggetto di analisi perché non rientranti nei progetti di monitoraggio. È questo il caso dei cosiddetti “contaminanti emergenti”, inquinanti attualmente non sottoposti ad azioni di carattere regolatorio, sempre più oggetto di studi e sempre più presenti nei corpi idrici.

Contrariamente a quanto si pensa, la maggior parte dei contaminanti emergenti deriva non da attività industriali, ma dal loro uso in agricoltura e in ambito domestico. Appartengono a questo gruppo i farmaci, il cui trend di consumo è inevitabilmente in aumento a causa dell’allungamento della vita media. Ad essi si aggiungono i prodotti per la cura del corpo, il cui uso esterno ne comporta l’entrata nell’ambiente attraverso un utilizzo regolare che non prevede alcuna alterazione metabolica. Ad esempio, il Triclosan, presente come antimicrobico in saponi e dentifrici, è tra le 10 sostanze più comunemente ritrovate negli effluenti degli impianti di depurazione sia per frequenza che per concentrazione. Rientrano inoltre tra i “contaminanti emergenti” gli additivi alimentari, i nanomateriali, i pesticidi e molti altri prodotti di uso comune.

Gli EQS quindi, definiti solo per 33 sostanze prioritarie e 8 inquinanti, non bastano. La gestione sostenibile delle risorse idriche non può esimersi dal coinvolgere tutti: dai ricercatori scientifici, per lo sviluppo di nuovi metodi di valutazione del rischio, agli enti regolatori, per svolgere programmi di prevenzione, dalle industrie, per indirizzarsi all’uso di nuove sostanze più compatibili dal punto di vista ambientale e della salute umana, ai consumatori, che devono essere informati, consapevoli e responsabili delle proprie scelte.

Claudia Ferrario