Tonno in scatola: quale comprare? Ecco la classifica di Greenpeace sui marchi sostenibili


Sempre più consumatori orientano le proprie scelte di consumo verso i prodotti che in etichetta riportano informazioni circa la specie di tonno, l’area di pesca e il metodo di pesca sostenibile.

Ma qual è la marca di tonno in scatola che garantisce maggiore sostenibilità, qualità e tracciabilità della materia prima?

Da tempo Greenpeace denuncia la mancanza di informazioni in etichetta, che impedisce ai consumatori di fare scelte responsabili. La quarta edizione della classifica “Rompiscatole” ha nuovamente messo in risalto i criteri di sostenibilità del tonno in scatola venduto in Italia.

A due anni dall’ultima classifica, le aziende che davvero si stanno impegnando per contrastare la pesca distruttiva salgono di posizione mentre chi non mantiene le promesse, finisce sul fondo. Il prossimo anno inoltre, dieci delle undici aziende presenti in classifica indicheranno sulle scatolette il nome della specie e l’area di pesca, anche in assenza di un obbligo di legge.

Scarica qui la classifica completa.

Per la prima volta un marchio arriva in fascia verde, ASdoMAR, che ha messo nero su bianco impegni precisi per garantire la sostenibilità dei propri prodotti. Evita metodi di pesca distruttivi, come i palamiti, preferendo la pesca sostenibile a canna da piccole flotte locali nel 30% dei propri prodotti. Come specie usa il meno sfruttato tonnetto striato nel 30% dei prodotti ed in etichetta indica nome comune e scientifico della specie, provenienza, metodo di pesca usato, consentendo al consumatore di fare una scelta. Seguono Esselunga e Conad, che scalano la fascia arancione grazie ai progressi fatti nelle politiche di acquisto per evitare i metodi di pesca più distruttivi, anche se per garantire davvero i consumatori questi marchi dovranno esigere dai loro fornitori informazioni dettagliate sui metodi di pesca. Per Rio Mare, leader del mercato italiano, rimane in quarta posizione perché dimostra di voler mantenere gli impegni ma nella maggior parte delle sue scatolette finisce ancora tonno pescato con metodi distruttivi.

Il peggiore – nonostante gli impegni presi e gli spot televisivi – è un altro importantissimo marchio del nostro mercato: Mareblu, declassato in fascia rossa. Nonostante le promesse di bandire i metodi di pesca distruttivi, usando solo tonno da pesca a canna o senza FAD entro il 2016, allo stato attuale solo lo 0,2 per cento dei prodotti di Mareblu è pescato in modo sostenibile. Nella maggior parte dei casi il tonno è pescato con reti a circuizione usate con sistemi di aggregazione per pesci (FAD), che svuotano i nostri mari uccidendo ogni anno migliaia di giovani esemplari di tonno (“baby-tuna”) e numerosi animali marini, tra cui squali e tartarughe, spesso di specie in pericolo. Come se non bastasse, Thai Union, l’azienda che dal 2010 è proprietaria del marchio Mareblu, è stata recentemente coinvolta in uno scandalo internazionale che riguarda la violazione dei diritti umani lungo le sue filiere di produzione.

Undici marchi, circa l’80 per cento del mercato italiano, sono stati valutati in base a politiche di acquisto, trasparenza e adozione di precisi criteri di sostenibilità ambientale e sociale. I risultati mostrano che le richieste dei consumatori, sempre più attenti a queste tematiche, stanno spostando il mercato italiano del tonno in scatola verso una pesca più sostenibile.

“Rispetto a 5 anni fa, quasi tutti i marchi che abbiamo analizzato hanno politiche di acquisto scritte nero su bianco. Non solo: il settore ha fatto passi avanti in tema di trasparenza in etichetta e sostenibilità – afferma Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia – Molte aziende hanno ormai capito che sempre più consumatori privilegiano prodotti che non danneggiano l’ambiente”.

Vai alla campagna “Rompiscatole” di Greenpeace: www.greenpeace.it/tonnointrappola/