Pecoraro Scanio: “Accordo di Parigi è solo un inizio. Poco coraggio, ora bisogna agire per il 100% rinnovabili”

Prof. Pecoraro Scanio Lei è stato alla Cop21 come osservatore, ha incontrato il suo successore Gian Luca Galletti, l’abbiamo vista con la vicepresidente della commissione Ambiente della Camera, Serena Pellegrino, abbiamo letto sull’Unità di sabato 12 un suo commento scettico sui risultati del vertice ma non rassegnato. Ha avuto anche un incontro giovedì 10 con la direttrice dell’Unesco, Irina Bokova (una delle più autorevoli candidate alla successione di Ban Ki Moon) e infine ha partecipato, tra i pochi italiani presenti ecertamente l‘unico ex ministro di un Paese del G8, alla manifestazione del 12 con gli ambientalisti sotto la Torre Eiffel per chiedere giustizia climatica. Che idea si è fatta dei risultati di questo summit?

La conferenza di Parigi si chiude con un accordo che si definisce vincolante, ma non prevede alcuno strumento per rendere obbligatori gli impegni presi e non prevede sanzioni e questo certamente non è incoraggiante. Di positivo c’è l’accordo mondiale avviato, di negativo l’assenza di obblighi chiari e perfino di parole come “decarbonizzazione”, petrolio e carbone. Manca anche un chiaro impegno per uscire dall’era delle fonti fossili. De resto la richiesta di giustizia climatica e di impegni efficaci era propria la richiesta della manifestazione di sabato 12. Vi ho partecipato anche per ribadire il diritto dei tanti rappresentanti dei popoli indigeni e delle piccole isole che con grande sacrificio erano arrivati a Parigi da ogni parte del mondo e non era giusto gli si negasse la possibilità di manifestare. La lotta al terrorismo è doverosa, ma come il Governo francese ha voluto giustamente garantire la sicurezza per lo svolgimento di grandi manifestazioni sportive come le partite di calcio, è stato doveroso assicurarlo anche a migliaia di persone che manifestavano in modo non violento per evitare l’estinzione della specie e in difesa del diritto a non vedere sommerse le proprie isole e distrutti i propri territori.

Quali sono gli aspetti positivi e negativi dell’accordo raggiunto?

Assistiamo, come scrivono gli amici di Avaaz che si sono attivati anche per la marcia mondiale del 29 novembre, a una lettura positiva perché si avvia un processo che riconosce all’unanimità la necessità di limitare ‘ben sotto i 2 gradi centigradi’ l’aumento della temperatura entro questo secolo. Questo è certamente un aspetto utile perché ci consentirà sviluppare una forte azione mondiale per obbligare Governi, Parlamenti e imprese verso l’unica scelta possibile: l’abbandono definitivo dei combustibili fossili in favore di un mondo 100% a energia rinnovabili.

Certamente è negativo che le multinazionali del petrolio siano riuscite a bloccare ogni decisione sull’abolizione, che ritengo assolutamente doverosa, dei circa 500 miliardi di dollari annui di sussidi ai combustibili fossili. Una cifra assurda se si pensa che l’accordo di Parigi ritenga di aver raggiunto un grande risultato nell’aver previsto 100 miliardi di dollari l’anno, che chissà quando saranno davvero stanziati, per aiutare i paesi più poveri e fragili verso uno sviluppo a basso, o zero, impatto ambientale.

Lei ha scritto che almeno i rappresentanti della Rainforest Alliance che ha incontrato erano contenti per gli impegni contro la deforestazione. Non le sembra anche questo un traguardo raggiunto?

Sarebbe sbagliato scoraggiarsi. Se non vi fosse stato nessun accordo a Parigi sarebbe stato un disastro. Queste conferenze seppur molto dispersive, per molti addirittura inutili, hanno il grande merito di obbligare tutti i Governi del mondo a confrontarsi e impegnarsi sul fronte del cambiamento climatico. Perfino le multinazionali (tranne quelle petrolifere ovviamente) stanno cercando di disegnare strategie per un futuro senza combustibili fossili. Tra i punti positivi c’è per esempio l’impegno a favore della difesa delle foreste che seguo con grande attenzione da quando durante la Conferenza di Nairobi garantii il mio appoggio al delegato della Papua – Nuova Guinea e alla coalizione dei paesi che conservano per tutti noi le grandi foreste primarie del nostro Pianeta. Durante questa COP21 finalmente li ho visti un po’ più fiduciosi sulle azioni concrete per fermare la deforestazione, anche se alla fine solo il piccolo Bhutan che ha scelto come indice economico non il PIL ma il FIL (Felicità interna lorda) si è impegnato a mantenere per sempre coperto di foreste almeno il 60% del proprio territorio nazionale, come patrimonio collettivo dee mondo.

Un delegato della Fondazione UniVerde ha consegnato al ministro Gian Luca Galletti, anche a nome di Marevivo e del progetto Greening the Islands, un documento per la difesa del mare e delle piccole isole. Sul tema mare e oceani sono stati fatti passi in avanti?

Come cofondatore di Marevivo ho sostenuto il documento in difesa delle isole minori consegnato da un rappresentante della Fondazione UniVerde al ministro Galletti che, in una nota ufficiale, se n’è fatto portavoce durante la Conferenza. Tuttavia, credo davvero che la centralità della tutela di mari e oceani nella lotta al cambiamento climatico sia sottovalutata, sebbene rappresentino il polmone blu del Pianeta, potremmo dire il motore del clima. Le piccole isole sono le prime vittime del paventato innalzamento dei mari e come ci dicono gli scienziati solo mantenendo l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi avranno speranza di salvezza. Occorre incrementare le azioni concrete. Per esempio il programma di aiuto alle piccole isole del Pacifico e dei Caraibi, che avviai nel 2007, è divenuto una best practice dell’ONU. Per fortuna il Governo italiano lo sta portando avanti e si sono aggiunti altri Paesi. Le nazioni industrializzate hanno il dovere di trasferire gratuitamente le nuove tecnologie rinnovabili, a basso consumo di carbonio, ai Paesi in via di sviluppo. L’energia solare, il microeolico e altre possibilità di produzione di energie da fonti sostenibili, in modo distribuito, potranno garantire uno sviluppo da terza rivoluzione industriale.

Lei insegna turismo sostenibile alle università di Milano e Roma. La grande crescita del turismo potrebbe diventare una delle attività più impattanti?

Un altro punto sicuramente deludente è l’esclusione dall’accordo del tema del traffico aereo civile che con la grande crescita della mobilità turistica è stato riconosciuto, anche a Rio+20, come uno dei fattori crescenti di emissioni climalteranti. Il turismo del futuro deve essere sostenibile e l’Italia può, e deve, fare molto per promuovere questa evoluzione.

E adesso come sarebbe opportuno procedere?

Dobbiamo iniziare subito una mobilitazione mondiale affinché dopo la firma solenne dell’accordo, prevista all’ONU il 22 aprile prossimo, giornata mondiale della Terra (Earth Day), i parlamenti inizino subito le procedure di ratifica e definiscano obiettivi di riduzione e/o eliminazione delle emissioni di Co2 più coraggiosi. Dobbiamo ottenere che l’adesione dei 55 Paesi, in rappresentanza del 55% delle emissioni, condizione che farà entrare in vigore l’accordo, sia raggiunta ben prima del 2020. Inoltre, occorre un grande impegno da parte di tutte le opinioni pubbliche, associazioni, imprese, università, per imporre a istituzioni e classi dirigenti, ancora troppo inadeguate, una svolta chiara. La terza rivoluzione industriale è già in atto, va solo accelerata. Gli scienziati ci avvertono da anni, il Papa ha sentito il bisogno di scrivere la prima Enciclica verde della storia. Non possiamo rassegnarci all’estinzione della specie umana per l’avidità di alcuni settori industriali e finanziari rapaci e l’inettitudine di classi dirigenti succubi di lobby tentacolari. Abbiamo conoscenze e tecnologie adeguate a realizzare quel cambiamento di economia e società indispensabile per evitare un cambiamento climatico catastrofico. Sono certo che possiamo e dobbiamo riuscirci.