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Illuminazione di emergenza: cosa dicono le normative in merito

Tutti gli edifici aperti al pubblico, specialmente quelli in cui si svolge attività lavorativa, dovrebbero essere dotati di un sistema che garantisca l’illuminazione d’emergenza. Questa deve essere conforme agli standard e deve avere apparecchi omologati. Ecco tutto quello che c’è da sapere.

Le interruzioni di corrente, a seconda della zona, possono presentarsi molto frequentemente. Si stima, infatti, che le aziende perdano complessivamente oltre 50 miliardi di euro l’anno per tali imprevisti. Fronteggiarli in modo corretto aumenta la sicurezza sul luogo di lavoro e aiuta a diminuire le perdite.

Esistono, infatti, normative costantemente aggiornate per l’installazione dell’illuminazione di emergenza, spesso alimentata da batterie ricaricabili o da generatori secondari. Vediamo quali sono i punti salienti dell’ultima normativa.

Apparecchi permanenti e non: qual è la differenza

L’illuminazione di emergenza è composta da apparecchi non permanenti e apparecchi permanenti. I primi entrano in funzione solo in caso di blackout o interruzioni: tali sistemi funzionano con batteria collegata alla rete elettrica, la loro autonomia dovrebbe fronteggiare le interruzioni di corrente più comuni.

Gli apparecchi permanenti, invece, sono in funzione in maniera continuativa. Tali sistemi hanno funzione antipanico, sono posizionati in luoghi strategici (ad esempio vicino ai macchinari utilizzati per il lavoro) e servono a segnalare correttamente le vie di evacuazione.

Dove posizionare l’illuminazione di emergenza?

In caso di dubbio, siamo assistiti dalla normativa in materia. Le luci di emergenza sono posizionate in genere in prossimità delle uscite di emergenza, in modo che siano immediatamente visibili. In tal caso l’illuminazione non deve mai scendere sotto i 2 lux a un metro dal suolo e sotto i 5 lux per scale e porte.

Esiste anche una collocazione in funzione antipanico, specialmente per spazi al chiuso molto ampi e dispersivi. Anche qui è bene attenersi allo standard di 2 lux. Normative specifiche sono invece previste per i luoghi ad alto rischio dove, per l’appunto, si svolge attività lavorativa. Qui la luce deve essere mantenuta fino al 10% della potenza originaria e dovrebbe attivarsi entro 0,25 secondi dall’inizio del blackout.

Molto importante in tutti i casi anche la segnaletica che è standardizzata dalla normativa UNI 7546. Naturalmente a seconda della destinazione d’uso dell’edificio sono state emanate direttive molto chiare e circostanziate.

Modelli di lampade d’emergenza

I dispositivi che garantiscono illuminazione di emergenza sono molto vari. Si va da lampade a muro di potenza variabile a lampade alogene per zone ad alto rischio. Le prestazioni possono raggiungere i 1000/1500 lux per un lasso di tempo fino a tre ore. Molto importanti sono le luci smart, ovvero progettate per illuminare spazi lunghi e di passaggio, come corridoi o scale. L’azienda, infine, dovrebbe fornirsi anche di kit di emergenza in dotazione al responsabile per l’evacuazione. Tali kit possono essere forniti di lampade chimiche, ovvero fluorescenti e antifumo, ma anche lampade a batteria adatte per scopi di soccorso. Lampade molto compatte, infatti, possono far luce fino a 300 metri.

Ultima risorsa da considerare è un sistema automatizzato di monitoraggio dell’impianto elettrico. Tale apparecchio può fornire al responsabile della sicurezza dati aggiornati ed è molto utile per gestire le prove d’evacuazione, fondamentali in ogni edificio pubblico.